L’Istituto di Storia contemporanea per la Giornata del ricordo 2012 allestisce la mostra FASCISMO, FOIBE, ESODO Le tragedie del confine orientale 1918/1956 presso la scuola media statale di Sant’Agostino.
La mostra, di particolare rilevanza didattica, riporta documenti e immagini che ripercorrono la tragica storia del confine orientale dalla fine della prima guerra mondiale al 1956.
La tragedia delle foibe e dell’esodo delle popolazioni italiane dall’Istria è stata per molti anni una pagina di storia dimenticata. Dimenticata dalla storiografia ufficiale per alcuni aspetti della sua scomodità, dimenticata dalla politica per questioni di carattere internazionale, ovvero la presunta inopportunità di rivangare episodi che avevano a che fare con il movimento rivoluzionario jugoslavo, un paese non allineato che viveva una frattura col mondo sovietico.
Eppure, si tratta di una tragedia che ha toccato in profondità la nostra coscienza di popolo e che ha avuto forti ripercussioni di carattere sociale e culturale.
Fino agli anni ‘80, parlare di foibe era un tabù sfatato solo da qualche coraggioso autore di destra che, però non forniva che una visione parziale degli eccidi, tutta incentrata sulla barbarie dei popoli slavi nei confronti delle popolazioni italiane.
Si tratta di una visione di parte e utilizzata a fini pubblico politici dalla memorialistica nazionalista. Gli studi sulle foibe hanno visto una accelerazione e un dinamismo crescente negli anni ’90, quanto, dopo il crollo dell’URSS e la cancellazione degli stereotipi della guerra fredda, si è potuto alimentare un filone di studi in grado di presentare una seconda spiegazione degli eventi, ovvero quella di reazione al malgoverno fascista del ventennio che si era concretizzato nelle terre giuliano-istriane come fascismo di confine, con un tentativo forzato di nazionalizzazione e di assimilazione delle popolazioni allogene che venivano private di molte fondamentali libertà. La stessa collocazione temporale degli eventi ha poi permesso di evidenziare come gli eccidi siano avvenuti nel momento di trapasso da una forma di potere costitutiva ad un’altra. Nell’autunno del 1943, dopo l’armistizio, al governo italiano si sostituì l’occupazione tedesca. Nella primavera del 1945, finita la guerra, ai tedeschi si sostituirono i partigiani di Tito. Il terzo passaggio storiografico fondamentale si ebbe con l’apertura degli archivi sloveni. Qui alcuni ricercatori riuscirono a ricostruire gli infoibamenti nel territorio jugoslavo, con un numero di morti superiore di tre volte a quello circoscrivibile al territorio italiano. In questo modo è emersa anche la componente “politica” degli eventi, ovvero l’eliminazione di tutti gli ostacoli alla presa di potere da parte del movimento rivoluzionario jugoslavo. Problemi di metodo poi, fanno passare il secondo piano l’accettazione che le foibe rappresentarono soltanto la punta di un iceberg. I morti italiani infatti perirono in massima parte in prigionia nei campi allestiti dagli slavi. Certo però la morte nell’inghiottitoio aveva una valenza simbolica molto forte. Stava cioè a testimoniare la volontà di cancellazione totale degli individui dalla vita e dalla memoria. Ricordare le foibe e i drammi verificatisi ai confini orientali significa non dimenticare le diverse sfaccettature ideologiche e politiche di un momento complicato per una terra che ha sempre vissuto lo scomodo status di terra di confine.