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Ricordo di Tonino Guerra

Con Tonino Guerra scompare un uomo, un artista che con la sua opera  ha profondamente inciso nella cultura del nostro Paese.

Ho avuto la fortuna e il privilegio di incontrarlo più di una volta. L’incontro più recente è stato  nella sua “casa” di Pennabilli, un vero e proprio luogo dell’anima in cui parlammo della sua installazione artistica, “L’albero della memoria”, e il poeta mi affascinò con i suoi racconti surreali. Ma in particolare voglio ricordare le emozioni che le sue parole mi suscitarono in un incontro a Ferrara, organizzato dall’Istituto di Storia Contemporanea con gli studenti di Architettura, durante le riprese del film di Michelangelo Antonioni e Wim Wenders, Al di là delle nuvole di cui era sceneggiatore. Allora scrissi una sorta di resoconto che fu pubblicato nella rivista della Cassa di Risparmio “Ferrara – Voci di una città” (n. 2, giugno 1995), di cui riporto due stralci.
Il primo riguarda il suo rapporto con Michelangelo Antonioni che Guerra esemplifica nel racconto di un suggestivo aneddoto:  Con Michelangelo,  ho fatto 8 o 10 film e, certamente, lo conosco bene. Anche se in questo momento ha delle difficoltà, devo dire che capisco molto bene, attraverso gli occhi, quello che lo può rendere soddisfatto e quello che vuole trasmettere. Abbiamo fatto molti viaggi insieme e voglio raccontarvi un aneddoto. Diversi anni fa siamo stati in Uzbekistan per cercare un paese che fosse adatto per ambientare una favola che abbiamo scritto insieme e che si intitola “L’Aquilone”. Abbiamo noleggiato un camioncino e giravamo per quelle contrade straordinarie; a un certo punto vediamo tre vecchi saggi mussulmani che camminavano a piedi, con tutti i loro barracani, con grandissima nobiltà. Michelangelo mi dice: «Facciamoli salire». Con noi c’era una persona che poteva tradurre. Loro salgono, non dicono molte parole, ma avevano un’espressione, una lunghezza di sguardo enorme, straordinaria, come avere sedute accanto delle nuvole. A un certo punto ci fanno un segno, come per fermarci: avevamo fatto sì e no cinque chilometri. Prima di salutare i tre vecchi, Michelangelo – che aveva in mano una Polaroid – dice: «Facciamo una foto». Mostra la macchina e i tre si fermano. Michelangelo scatta, aspetta che dalla Polaroid esca la foto e gliela porge. «È un regalo». Il più anziano la prende e ci fa dire dall’interprete: «Perché fermare il tempo?» E se ne sono andati via. Ci siamo rannicchiati dentro il furgone, che ormai non era più un mezzo di trasporto, ma una bara, la bara delle nostre speranze.  Il secondo stralcio riguarda quello che Tonino Guerra definisce ciò che dovrebbe essere il “cinema”: per uno spettatore è bello uscire dalla sala e tornare a casa pensando di “aver fatto il film”, non di essersi limitato ad “averlo visto”. Questo dovrebbe essere il cinema. Ma questo significa anche che i film “buoni” sono per molto pubblico noiosi, perché l’arte è bella e buona, ma anche difficile e “noiosa”. E questo vale per i film come per la Divina Commedia. State attenti: fare lo spettatore è un mestiere difficile, come fare il regista.

 

Anna Quarzi